Dove oggi sorge il vulcano più alto d’Europa, esisteva durante l’era Quaternaria una ampio golfo “pre-etneo”, lungo il quale correva (e corre tuttora) la linea di contatto fra le zolle eurasiatica e africana. Dall’attrito fra le due placche prese avvio, a partire da 600 mila anni fa, un lungo periodo di attività vulcanica sottomarina.

In questo quadro si inserisce, mezzo milione di anni fa, la nascita dell’Isola Lachea e dei faraglioni, sorti dal mare in seguito a imponenti movimenti terrestri di innalzamento che fecero affiorare in superficie isole e isolotti formatisi precedentemente in ambiente sottomarino. E che l’origine di queste formazioni rocciose sia proprio magmatica, è confermato dalla semplice osservazione delle masse basaltiche e delle lave, massicce o colonnari, presenti tanto sull’Isola Lachea che sui faraglioni. I basalti, nella parte sommitale di Lachea e del Faraglione Grande, appaiono ricoperti da argille biancastre, dette “marne”, altro non sono che un remoto ricordo dell’antichissima, preesistente, piattaforma argillosa pleistocenica.

Varie ipotesi sono state avanzate dagli studiosi per spiegare l’evoluzione nel tempo dell’arcipelago. Secondo un’attendibile ricostruzione, al posto della moltitudine di affioramenti vi sarebbe stato in origine un unico blocco marnoso, lungo circa un chilometro, che gradualmente subì la lenta e incessante attività erosiva di mare e vento, dando vita all’attuale conformazione a isole e faraglioni, circondati da un diadema di scogli.

In seguito il nascente vulcano Etna spostò i suoi teatri eruttivi sempre più a occidente, intervallando a periodi di intensa attività altri di quiete più o meno lunga.

Dopo l’esaurimento del filone magmatico che alimentava il Monte Calanna, il quale dunque cessò la propria attività e si estinse per sempre, iniziò una violenta fase eruttiva da parte di due nuovi vulcani, il Trifoglietto I e II, spuntati a poche migliaia di anni di distanza, che ricoprirono quasi interamente ciò che restava dell’antico Calanna. Circa 64 mila anni fa una furiosa attività esplosiva svuotò la camera magmatica dei due crateri, che collassarono su se stessi formando la grande caldera della Valle del Bove, mentre dopo questo terribile evento tutto tacque per ben 30 mila anni. L’ultimo atto coincide con l’apertura, 34 mila anni addietro, di un nuovo cono eruttivo, il Mongibello, che giunse a colmare le residue insenature del golfo, saldando l’edificio vulcanico con la costa siciliana.

Ma torniamo alla Riviera dei Ciclopi. Il sollevamento dell’area, cui si deve l’emersione delle argille formatesi durante il Pleistocene, è tuttora in corso e ha portato le argille stesse fino ad un livello di 300 metri sul livello del mare nella zona delle colline di Acicastello e Acitrezza. Osservare le particolari formazioni rocciose dell’Area Marina Protetta non è difficile: e in più, attraverso questa semplice e divertente “caccia al tesoro”, si può tentare di ricostruire le varie fasi geologiche che hanno scandito la vita di questo affascinante specchio d’acqua e di terra. Quattro, in particolare, sono le peculiari tipologie di rocce magmatiche riscontrate dagli scienziati, dall’origine ora intrusiva ora effusiva, a seconda cioè che si siano formate all’interno o all’esterno della crosta terrestre.

Osserveremo dunque delle rocce con fessurazione prismatica ben sviluppata (i celebri basalti colonnari), altre con sottili prismi, altre dette “lave a cuscino”, e infine le ialoclastiti. I celebri basalti colonnari, che si possono ammirare sull’Isola Lachea e sul Faraglione Grande e in alcuni tratti della costa di Acitrezza, hanno origine intrusiva: il magma, raffreddandosi lentamente, ha creato bellissimi prismi colonnari, come sorta di imponenti canne d’organo, ben visibili anche dalla terraferma. Le rocce con sottili prismi di contrazione termica, invece, si trovano sia lungo la costa (molo di Acitrezza) sia nell’immediato entroterra; si tratta di affioramenti di dimensioni limitate, che testimoniano un più rapido raffreddamento roccioso (da cui la sottigliezza dei prismi, se confrontati con quelli delle Isole Ciclopi), aspetto che ha suggerito ai geologi un’origine parzialmente diversa, avvenuta si pensa sotto uno strato argilloso di più modesto spessore, oppure negli interstizi più interni delle lave a cuscino, come si può osservare nella Rupe di Acicastello.

Le lave a cuscino, dette con espressione anglosassone a “pillow”, manifestano, al contrario delle precedenti che abbiamo esaminato, la propria chiara natura effusiva; formatesi in seguito a remote eruzioni sottomarine, a qualche centinaio di metri di profondità, oggi possono essere osservate nella Rupe di Acicastello. Le si riconosce per l’aspetto rigonfio, a cuscino appunto, e per il bordo vetrificato.

Le ialoclastiti infine hanno un aspetto caotico, si trovano in formazioni complesse, immerse in una sorta di amalgama giallastra, e sono formate da frammenti di lave a cuscino, bombe vulcaniche e altri frammenti rocciosi basaltici. Possono essere riscontrate nei pressi dell’abitato di Ficarazzi, dell’albergo Eden Riviera e della Rupe di Acicastello.

Le Isole dei Ciclopi, come già anticipato, derivano da un unico blocco vulcanico, mentre la copertura rocciosa biancastra sulle sommità dell’Isola Lachea e del Faraglione Grande, come già accennato, altro non è che l’antica argilla deformata e indurita dal calore del magma. Nel punto di contatto possono trovarsi dei caratteristici cristalli di analcime, un minerale composto da allumo-silicato di sodio.

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