Vorremmo adesso invitarvi a fare una bella passeggiata all’aria aperta, sulle tracce di Flora e Fauna, mitiche creature qui particolarmente prodighe di doni.

Il clima locale è tipicamente mediterraneo: inverni miti e moderatamente piovosi, ed estati calde e secche. In questo habitat si sono perfettamente ambientate numerose varietà di piante, e anche l’Isola Lachea si è popolata di una rigogliosa vegetazione.

Nonostante la preoccupazione suscitata nei botanici dall’eccessiva antropizzazione del luogo, a cui è legata la presenza di flora non spontanea, l’isola resta un’importante stazione di osservazione dove studiare, accanto alle specie introdotte a scopo ornamentale, la significativa presenza di alcuni endemismi, quali l’eliotropio e la carlina raggio d’oro, tipici della Sicilia e dell’Italia meridionale.

Tra le specie rappresentate negli erbari raccolti sull’Isola Lachea, figurano l’acanto (Acanthus mollis, pianta ornamentale fin dai tempi antichi), l’erba cristallina stretta (Mesembryantemum nodiflorum), l’oleandro (Nerum oleander), l’arisario (Arisarum vulgare), l’erba tortora (Cerinthe maior), il fico  d’India (Opuntia ficus-barbarica), l’erba del cucco (Silene vulgaris), la casuarina (Casuarina equisetifolia), il cappero (Capparis spinosa), l’assenzio arbustivo (Artemisia arborescens), il crisantemo giallo (Crysanthemum coronarium), l’ombelico di Venere (Umbilicus rupestris), l’euforbia (Euphorbia dendroides), la violacciocca (Matthiola incana), il cavolicello (Brassica fruticulosa), la canna (Arundo donax), il tè siciliano (Prasium maius), l’alloro (Laurus nobilis, che nel comprensorio etneo non è poi così comune), lo sparto (Spartium junceum), il fico (Ficus carica), l’acacia (Acacia cianophilla), l’asparago pungente (Asparago acutifolius), il pittosporo (Pittosporum tobiria), l’ailanto (Ailanthus altissima), il finocchino di mare (Crithmum maritimum), la valeriana rossa (Centranthus ruber).

Pur piccolissima in estensione, l’isola Lachea riveste notevole importanza anche per gli zoologi. Su di essa vivono infatti numerosi gruppi animali, in gran parte invertebrati, che hanno sviluppato una buona resistenza alle particolari condizioni ambientali del luogo, dall’alto tasso di salinità alle notevoli escursioni termiche che si registrano nel corso della giornata.

Molti gli invertebrati dicevamo (come isopodidiplopodicollemboliortottericoleotteri, imenotteri e lepidotteri), tra cui assumono particolare interesse scientifico due specie di ragni, lo Zelotes messinaiendemismo siciliano, e l’Urozelotes mysticus, finora osservato solo su Lachea.

Pochi invece i vertebrati, a parte gli uccelli che meritano un discorso a sé; mancano gli anfibi come rane e rospi, mentre sono presenti alcuni roditori e rettili.

E proprio tra questi ultimi vive l’esemplare più noto della fauna ciclopica, la lucertola dalle tipiche macchiette.

Il simpatico sauro non ha mancato di suscitare un’autentica diatriba tra gli esperti di classificazione, sostenendo gli uni e negando gli altri che si tratti di una sottospecie vera e propria, oppure di una semplice varietà.

La discussione non è ancora giunta ad un punto fermo, ma resta il fatto che la colonia di Podarcis sicula ciclopica vive isolata dalle “cugine” di terraferma da moltissimi anni e si è differenziata da esse.

Altamente probabile è anche l’incontro con un altro sauro, la Tarentola mauritanica mauritanica, conosciuta in dialetto come zazzamita, oppure come patruneddu di casa, nomignolo affettuoso dovuto all’abitudine dei gechi (si chiamano anche così) di passeggiare su muri e tetti delle case. Nessuna controindicazione, anzi molti benefici per i destinatari delle frequentazioni di questo rettile: sostiene la fantasia popolare che porti bene averne uno nei paraggi. In totale libertà, s’intende.

E infine, per gli amanti del birdwatching, la già anticipata carrellata sugli uccelli. Nidificano sui costoni dell’Isola la passera sarda (Passer hispaniolensis) e la ballerina gialla (Motacilla cinerea), mentre tra quelli che la visitano occasionalmente si possono osservare la gazza (Pica pica), il verzellino (Serinus serinus), il fanello (Carduelis cannabina), la sterpazzolina (Sylvia cantillans), la tottavilla (Lullula arborea), l’occhiocotto (Sylvia melanocephala), il piropiro piccolo (Actitis hypoleucos).

Le rocce più alte ospitano abitualmente in inverno numerosi gruppi di gabbiani reali (Larus argentatus) e cormorani (Phalacrocorax carbo), ma anche lo zafferano frequenta abitualmente le Isole Ciclopi.

Neppure i rapaci sono rari, dal falco di palude (Circus aeruginosus) a quello pellegrino (Falco peregrinus).  Nell’intero comprensorio trezzoto non mancano resti di antiche faune. Numerosi i resti di fossili d’età quaternaria, che consentono di ricostruire la complessa storia geo-ecologica dell’Area Marina Protetta. Infatti, mentre altrove il massiccio intervento dell’uomo ha spesso sepolto sotto le colate di cemento le preziose tracce delle ere più lontane, la natura ad Acitrezza è rimasta un libro aperto. Pronto a farsi leggere.

Sono osservabili quindi antiche faune quaternarie, inquadrabili cronologicamente nei periodi del Pleistocene inferiore, medio, superiore, e dell’Olocene, abbracciando un arco temporale che va da 1.650.000 anni fa ai giorni nostri.

I fossili del Pleistocene inferiore (da 1.650.000 a 700 mila anni fa) sono rimasti intrappolati nelle argille azzurre dei fondali marini. Grazie ai progressivi movimenti di sollevamento che hanno interessato tutta l’area, le argille sono emerse e oggi sono osservabili nelle Isole, a Capo Molini e Acicastello.

Durante il Pleistocene medio (da 700 mila a 200 mila anni fa) le argille dei fondali emergono dalle acque in seguito a importanti movimenti tettonici; oggi costituiscono il suolo delle zone collinari di Ficarazzi e Monte Vambolieri, dove si osservano ricchi depositi di molluschi vissuti migliaia d’anni addietro, mentre il terreno è disseminato qua e là di grossi blocchi lavici, effusi nelle profondità del mare, successivamente erosi dalle onde e infine incrostati di organismi marini.

E’ nel corso della fase finale del Pleistocene superiore (da 200 mila a 10 mila anni fa) che il mondo conosce la sua ultima grande glaciazione, quella detta di Wurm. In questo periodo il mare arriva a ritirarsi di circa 120 metri rispetto al livello odierno, mentre la temperatura, anche nel Mediterraneo, si abbassa sempre più.

Compaiono, anche ad Acitrezza, molluschi bivalvi tipici degli ambienti marini atlantici, come l’Arctica islandica, simile ai molluschi oggi comuni lungo le coste britanniche. Gli studiosi li chiamano “ospiti nordici”, e tra questi figura anche la Venerupis rhomboides, rinvenuta insieme con molti altri fossili nel corso di alcuni dragaggi al largo di Acitrezza.

L’Olocene (da 10 mila anni fa ai giorni nostri) assiste al progressivo innalzamento (oltre che della temperatura) anche del livello marino, mentre non cessano i moti di sollevamento della costa.

Datano a questo periodo il terrazzo tra Acicastello e Capo Molini, e le cosiddette “marmitte dei giganti” dell’Isola Lachea.

Sui faraglioni si formano notevoli incrostazioni, composte essenzialmente da alghebriozoipolichetimolluschi, tutti immersi in una matrice calcarea.

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